Un gruppo di ricercatori italiani ha dimostrato in uno studio preliminare che aumentare la sopravvivenza del malato potrebbe essere possibile grazie all’uso combinato di terapie antitumorali standard, endocrine e fitoterapiche.
E’ italiana la ricerca condotta sul glioblastoma, uno dei tumori al cervello più aggressivi e letali la cui prognosi incerta non ha mai raggiunto evidenti benefici in termini di sopravvivenza in seguito alla somministrazione di terapie oncologiche standard, come la chemioterapia, l’immunoterapia e i trattamenti con farmaci antiangiogenici.
L’obiettivo dello studio era verificare se l’adozione di un approccio neuroendocrino, non sostitutivo, associato alla terapia standard antitumorale, fosse scientificamente in grado di contrastare il decorso del glioblastoma, incrementando la sopravvivenza dei pazienti che ne sono affetti.
Il tempo di sopravvivenza di pazienti affetti da glioblastoma è di circa 6-9 mesi, a seconda dei casi, e raramente si raggiunge l’anno di vita. L’approccio PNEI ha dimostrato con 2-3 mesi di terapia, non sostitutiva, ma in associazione a quella standard, un aumento di circa il 60% della sopravvivenza del malato.
Lo studio preliminare, pubblicato sulla rivista Journal Radiation Oncology, “A PsychoNeuroEndocrineImmune (PNEI) Approach to Enhance the Efficacy of Radiochemotherapy in Glioblastoma”, evidenzia nel 53% del campione analizzato un controllo, parziale e stabile, della malattia che si è rivelata essere associata, nel 57% dei casi, ad un tempo di sopravvivenza maggiore di 1 anno.
Ad emergere nello studio è anche l’importanza terapeutica della cannabis e gli effetti positivi che il suo utilizzo ha dimostrato avere nel trattamento dei tumori. Infatti i pazienti affetti da glioblastoma che erano stati trattati anche con cannabis avevano raggiunto livelli di sopravvivenza pari a circa 3 anni; un risultato significativamente superiore rispetto al campione che non aveva ricevuto la terapia con cannabinoidi.
L’approccio PNEI sperimentato prevedeva l’associazione tra terapia standard antitumorale (radioterapia e chemioterapia a base di temozolomide) e la combinazione di un trattamento neuroendocrino e fitoterapico. Lo studio ha visto la partecipazione di 30 pazienti affetti da glioblastoma diagnosticato in seguito a intervento chirurgico o palliativo. Il regime neuroendocrino prevedeva la somministrazione orale di 100 mg al giorno di melatonina durante la notte, 5 mg al giorno di 5-MTT (la 5-metossitriptamina) durante il giorno e fino a 50 mg di naltrexone, antagonista oppioide, in dose crescenti, durante la mattina.
La terapia fitoterapica, invece, consisteva nella somministrazione di aloe, mirra, magnolia e boswellia. Inoltre, i pazienti sono stati randomizzati e solo una parte del campione ha ricevuto un’infusione di cannabis. Infatti, secondo i recenti progressi ottenuti nel campo della Psiconeuroendocrinologia, un miglioramento nella terapia del glioblastoma potrebbe derivare dall’approfondimento della conoscenza dei meccanismi psico-endocrini responsabili della crescita delle cellule tumorali coinvolte in questo tipo di neoplasia. Attualmente, infatti, è stato dimostrato che le cellule del glioblastoma possono esprimere recettori oppioidi, la cui attivazione stimola la proliferazione del cancro, mentre la melatonina (MLT) e altri ormoni pineali di natura indolica, come la 5-metossitriptamina (5-MTT), ne possono sopprimere la crescita.
Inoltre, è stato verificato che alcune piante, come l’aloe, la mirra, la boswellia, la magnolia e la cannabis indica, esercitano un’attività antitumorale su diverse tipologie di cellule tumorali, tra cui il glioblastoma.